Gas: ENI e Gazprom ai ferri corti

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Il colosso energetico italiano chiede al monopolista russo l’eliminazione della clausola take or pay che costringe il Cane a Sei Zampe all’acquisto di una quantità di oro blu superiore al fabbisogno del Paese. Proteste nei confronti di Mosca anche da parte della compagnia nazionale polacca PGNiG

No a condizioni ingiuste che costringono il cane a sei zampe a clausole contrattuali onerose. Durante l’ultimo suo intervento in Senato, l’Amministratore Delegato del colosso energetico italiano, ENI, Paolo Scaroni, ha dichiarato la volontà di non prolungare il contratto con il monopolista russo, Gazprom, se la clausola take or pay non sarà eliminata.

Nello specifico, Scaroni ha illustrato come alla scadenza del contratto ad oggi in vigore, ENI non provvederà ad alcun rinnovo se Gazprom non concederà una revisione della logica con cui i nuovi accordi saranno sottoscritti.

Come riportato da Vedomosti, il colosso energetico italiano ha in previsione una diminuzione delle importazioni dal monopolista russo, ed ha chiesto il livellamento delle tariffe agli standard di mercato.

Nel 2011, ENI ha registrato spese per il gas pari a 600 Milioni di euro, e nel biennio 2009-2011 le uscite a beneficio di Gazprom stanziate per onorare la clausola take or pay hanno toccato quota di 1,5 miliardi di euro.

Di per sé, la take or pay è una logica precauzione per quei Paesi, come la Russia, che puntano sulle esportazioni di gas rafforzarsi sul piano economico. La contestata clausola impone infatti ai Paesi contraenti l’acquisto di un tetto minimo di oro blu, a prescindere dal suo effettivo utilizzo.

La take or pay può tuttavia rappresentare un mezzo di pressione operato dall’ente esportatore nei confronti dell’acquirente.

Nel marzo del 2012, ENI ha rinnovato il contratto con Gazprom ottenendo uno sconto retroattivo dal 2011 pari a 600 milioni di euro che, tuttavia, il colosso energetico italiano ha dovuto restituire al monopolista russo per onorare la clausola take or pay.

Scontentezza per la clausola contrattuale che gonfia le spese per il gas è stata anche dimostrata dal colosso polacco PGNiG, che all’anno importa dalla Russia 10 miliardi di metri di gas proprio secondo la take or pay.

A peggiorare la posizione polacca rispetto a quella italiana sono però due fattori. Il primo è l’isolamento energetico operato dalla Russia nei confronti della Polonia tramite la costruzione del Nordstream.

Questo gasdotto sottomarino è stato costruito sul fondale del Mar Baltico dalle coste russe alla Germania per isolare i Paesi dell’Europa Centrale osteggiati politicamente dal Cremlino e, così, permettere a Mosca di imporre prezzi alti per le forniture energetiche a Varsavia.

L’ENI invece può contare nelle trattative con Gazprom sulla compartecipazione congiunta nel Southstream: altro gasdotto progettato dalla Russia per scopi politici per impedire alla Commissione Europea di diversificare le forniture di gas per il Vecchio Continente trasportando direttamente in Europa gas azero.

Il Gasdotto Ortodosso – com’è altrimenti noto il Southstream – è progettato dalle coste russe del Mar Nero al porto bulgaro di Varna, da dove una diramazione è preventivata verso Grecia e Italia, mentre un’altra è pianificata per risalire la penisola attraverso Macedonia, Montenegro, Serbia, Croazia, Slovenia e Italia.

Nel progetto, Gazprom – che è posseduta a maggioranza dal Cremlino – detiene il 51% delle azioni, mentre ENI è socio con un 20% che, sempre secondo Vedomosti, potrebbe essere utilizzato dal colosso italiano come arma di pressione per l’ottenimento delle modifiche contrattuali dal monopolista russo.

ENI rafforza la cooperazione con un altra compagnia russa

Nonostante i dissidi con Gazprom, forse più apparenti che reali, ENI continua a rafforzare la sua presenza in Russia.

Nella giornata di martedì, 16 Ottobre, il colosso energetico italiano ha avviato la creazione di tre joint venture con la compagnia russa Rosneft.

Come riportato dal portale di informazione wnp.pl, le tre compagnie compartecipate hanno il compito di verificare la presenza di giacimenti di gas e greggio nel Mar Nero e in quello di Barents.

Inoltre, le joint venture dovranno effettuare le rilevazioni sismologiche per la realizzazione di infrastrutture anche laddove è progettata la prima tratta del gasdotto Southstream.

Matteo Cazzulani

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